Perchè il fango non ha vinto
di Salvatore Ferri (tratto da "I 50 anni della Cantina di Solopaca - La storia del vino Solopaca nella cooperazione")
Ci aggiravamo da giorni sul piazzale incrostato di fango scansando i detriti venuti giù dalla montagna. Dal cielo ancora grigio scendeva un pioggerellina leggera, dal sapore ormai innocuo.
Oltre il punto vendita, nella zona di scarico delle uve, gli operai continuavano ad ammucchiare centinaia di bottiglie ricoperte di fango, scampate alla furia dell’acqua capace di invadere il magazzino in cui erano state custodite. Le riportavano alla luce con pazienza e buona volontà, non sapendo ancora quale destino riservare loro. Da qualche ora sul volto del Presidente Carmine Coletta era tornato il sorriso. Malgrado la catastrofe sfiorata d’un soffio, da quasi una settimana uomini e donne continuavano a lavorare per ripulire le strutture e riportare a galla la dignità e la fierezza della Cantina. Un quadro armonioso nella sua drammaticità, sufficiente per regalare orgoglio e soddisfazione.
Io e Almerico Tommasiello, però, continuavamo a guardare quelle bottiglie ricoperte di fango. Ogni tanto ne afferravamo qualcuna contemplando una tragica bellezza in grado di raccontare tanto, senza avere il bisogno di parlare. “Questa è una testimonianza bella e buona di una storia difficile” ci dicevamo. E intanto dai magazzini ne arrivavano a frotte, come se i segni della sopravvivenza dovessero lasciare una traccia sempre più forte.
“Il vino è stato messo in salvo” titolavano i giornali ai quali ci eravamo affrettati a comunicare che la produzione non era stata intaccata. Era stata quella la prima cosa da fare per non alimentare false notizie capaci di aggiungere la beffa a un danno già importante. Le braccia dei soci, dei dipendenti e dei tanti volontari avevano già riaperto le porte del punto vendita, preso timidamente d’assalto dai primi clienti decisi a non darla vinta al fango. Per la bottaia, invece, sarebbe stato tutto molto più lungo.
Cinque giorni erano passati dall’esondazione del torrente Saucolo, ingrossato da un pioggia anomala la notte tra il 14 e il 15 Ottobre. “La normalità è appena oltre le nuvole, sta tornando” mi sorpresi a scrivere di getto una sera seduto in macchina, prima di tornare a casa, mentre osservavo la Cantina tornare in vita. Non poteva bastare quello, però. Serviva una scintilla. Era necessario ripartire sull’onda di un nuovo spirito di rinascita. E la reazione alla fine arriva. Suona come una sveglia il pomeriggio del 21 Ottobre, quando accanto a quei mucchi di vetro offuscati dal fango compare, come un ultimo segnale da cogliere, un tubo di plastica collegato a un rubinetto dell’acqua. Qualcuno aveva deciso di dare un destino a quelle bottiglie. Di lavarle e cancellare così, ingenuamente, una testimonianza di quella storia.
Io e Almerico ci guardiamo con serietà. “Vendiamole queste bottiglie, no? Ad un prezzo simbolico.” Ce lo diciamo piano, quasi sottovoce.
I mucchi diventavano sempre più imponenti, oggetto dell’attenzione di operai e curiosi arrivati in Cantina per trasmettere solidarietà. Diamo ancora un’occhiata a quei grossi cassoni. “Vendiamole così” ci ripetiamo. “Esattamente come le stanno recuperando dal fango. Chiediamo un gesto di solidarietà e cominciamo a ripartire.” Basta qualche sorriso d’intesa e ancora un caffè per decidere. L’operazione ripulitura viene bloccata e la macchina delle “Sporche ma Buone” si mette in moto. Il tempo è incerto, un pomeriggio tiepido ma senza sole. Ci barrichiamo in ufficio per qualche ora e quando ne riemergiamo la locandina promozionale racconta qualcosa la cui portata futura non può essere ancora decifrata.
“Prendici Così: Siamo #SporcheMaBuone” recita la bozza della campagna di comunicazione. E poi ancora, a testimoniare la genuinità della faccenda: “Sotto questa corazza di vetro abbiamo conservato il frutto della terra che ha provato a spazzarci via.” Lanciamo l’iniziativa su Facebook, Almerico pensa a riempire il portale web e io mi affretto a intasare di comunicati stampa tutti i mezzi d’informazione di cui ho contezza. Le prime reazioni sono incoraggianti, il cellulare comincia a mettere i fila i messaggini di apprezzamento da chi si mostra lungimirante. Torniamo a casa per una doccia e per mandare giù un boccone e nel frattempo tutto cambia. Sono da poco passate le 17 e la Cantina di Solopaca scrive un altro pezzo della sua storia.
Mi hanno insegnato che i contorni di un successo vanno definiti con i numeri più che con le parole. Io con i numeri ci so fare davvero poco, ma per dare un occhiata ai dati della campagna #SporcheMaBuone serve davvero poca dimestichezza con la matematica. Centomila bottiglie vendute in cinque giorni è il primo, incontrovertibile numero da tenere in considerazione. Un punto vendita preso letteralmente d’assalto e una casella di posta subissata di richieste le prove decisive. Diecimila le email arrivate, smaltite con fatica da una piccola squadra operatori telefonici solo nell’ultima settimana di Dicembre.
Il ritorno mediatico è impressionante. La pagina Facebook della Cantina passa dai suoi quasi diecimila “like” ad oltre quattordicimila. Le interazioni sulla pagina, le condivisioni dei post, sfondano ogni muro anche solo ipotizzabile in tempi cosiddetti “normali.” Ogni post lanciato sulla pagina diventa un contenuto virale; si sfiorano le trentamila visualizzazioni uniche, la pagina fa il giro del mondo e le #SporcheMaBuone vengono richieste anche da Parigi, dal Canada e persino dal Giappone. Nell’altoparlante di un telefono impazzito risuona ogni accento della penisola. La scrupolosità dell’ordine stilato da un pensionato piemontese si accavalla all’entusiasmo contagioso di una donna siciliana per poi cedere il passo ad un ristorante bolognese e ad un’associazione ricreativa delle Marche. Piovono incessanti le richieste da Roma, Reggio Calabria, Trento e Oristano. I camion stipati di #SporcheMaBuone fanno rotta per Foggia, La Spezia, Bergamo e Potenza.
In Cantina piombano i grandi organi di informazione nazionali. I volti dei Tg, le firme dei quotidiani si fermano a visitare la struttura e ci fanno compagnia anche durante le gustosissime pause pranzo, tra gli instancabili volontari e i tantissimi clienti. Il piazzale ormai ripulito diventa un parcheggio deliziosamente disordinato. Tutti in fila per le #SporcheMaBuone e i banchetti allestiti per facilitare l’acquisto delle bottiglie si svuotano a vista d’occhio. I telefoni continuano a squillare costringendo agli straordinari i dipendenti. La casella di posta non può sopportare la grandinata di email che le piove addosso senza soluzione di continuità.
Quando anche l’ultima bottiglia lascia Via Bebiana lanciamo un nuovo hashtag che impazza in rete: #OrgogliosiDiVoi. È un modo per ringraziare tutti, per salutare una gara di solidarietà impossibile da prevedere e per questo dai risvolti così emozionanti. Il nuovo motto finisce sulle bottiglie celebrative distribuite il 21 Maggio 2016 a tutti gli amici della Cantina, in occasione della riapertura ufficiale della bottata. Associazioni, esercizi commerciali, volontari e soci: tutti portano a casa un ricordo dell’unione capace di fare la forza.
In fondo all’etichetta sei parole raccontano bene il finale della storia. “Perché il fango non ha vinto"